giovedì 21 marzo 2013

Primavera. Tutto il resto è noia.


Quando ti svegli e non piove più. Quando prendi il caffè al sole, con gli occhiali scuri e la giacca leggera.
Quando sei in fila e apri il finestrino. Quando inizi a scoprire le gambe.
Quando progetti un nuovo tatuaggio perché la stagione è quella giusta.
Quando decidi che quel paio di scarpe lo comprerai. Anche solo per te.
Quando è il 21 marzo e una delle tue migliori amiche si laurea. Quando esci di corsa con i tacchi nella borsa e un mazzo di fiori in mano.
Quando hai cuore e testa altrove e ti sforzi comunque di tenerli qui, adesso, che il coraggio di perderti non ce l’hai.

Quando è primavera. E ricominci a respirare.

domenica 17 marzo 2013

E fatelo il primo passo, che il testosterone non si intacca. Anzi.


Ho sempre pensato che non ci fosse differenza in amore tra chi dovesse fare il primo passo e chi no. Una donna che sa quello che vuole può tranquillamente non dover chiedere il permesso a nessuno.

Sì, certo. A-ha.

Il problema è che hanno cominciato a pensarlo pure queste schiere di geni del crimine con cui ci relazioniamo, questi simpatici “ah, no, ce sta che la prima cena facciamo a mezzi, metti che poi non me dà manco un bacio”. E come no. Aspetta, galantuomo delle mie Louboutin. Già che ci sei fatti pure offrire il caffè e l’ammazzacaffè, tante volte non ci scappasse manco il sorriso a fine serata.
Perché diciamocelo, di tutti questi cavalieri sbiaditi, che non prendono una posizione manco a pagarli oro, che non decidono, che aspettano una mossa, ne abbiamo un po’ le palle piene.
Passiamo ore a guardare film allucinanti dove lei non muove nemmeno mezzo passo e si becca il meglio figo del quartiere, poi scendiamo al primo squillo di cellulare – perché ovviamente non sia mai che si riesca a scollare l’ominide dal sedile della macchina per farlo citofonare – e ci troviamo anche nella condizione di dover finire la serata nella classica posa che ognuna di noi ha assunto in macchina almeno una volta: gomito appoggiato sul sedile di Lui, corpo “vagamente” proteso, bocca-a-culo-di-gallina quanto basta e sguardo intenso. Roba che più sputtanata di così non potrebbe essere.
E Lui – sì, Lui, con L maiuscola – pronuncia le parole che farebbero morire anche l’ormone della Lei più implacabile: “Quanto mi piace stare qui a parlare con te, ci passerei le ore”.
E tu stai lì e pensi: “Ma questo non ce l’ha una madre? Nessuno gli ha spiegato che alla Lei che rischia il fianco sul bracciolo non si propone mai di parlare per ore e ore? Che altro mai mi dovrai dire stasera, eh?”.

E fatelo ‘sto primo passo. Che non diventate impotenti. 

sabato 16 marzo 2013

Credo.


Credo nel sabato mattina, quando non lavoro e c’è il sole. Credo negli occhiali scuri la domenica mattina, quando esci a fare colazione e ti porti dietro la notte prima.
Credo nel caffellatte e nei biscotti al cioccolato.
Credo nella musica sparata nelle orecchie, quando non riesci a trovare le parole. E allora le trova lei per te.
Credo nelle serate con gli amici, quelli di sempre, quando ti senti a casa. Credo nei momenti con persone che conosciamo da poco, ti danno sempre la sensazione di poterti reinventare e non ti costringono a giustificazioni.
Credo nel 21 marzo, nel profumo che c’è nell’aria nelle mattine di giugno e nel colore del tramonto a settembre.
Credo nella bellezza dell’alba a Roma e nel suo cielo blu, che di viaggi ne ho fatti veramente tanti ma così blu io non l’ho mai trovato.
Credo negli aeroporti, nella valigia che preparo e che mi sembra sempre troppo piena. Credo negli arrivi, negli abbracci caldi di chi ti aspetta. Credo nei viaggi che fai per scappare e credo nella consapevolezza che hai quando non ti dimentichi mai da dove vieni.
Credo nella camomilla sotto al piumone e nella birra chiara media a Ponte Milvio.
Credo nei baci all’improvviso, nei colpi di fulmine, negli sguardi a cui non sai dare un significato.

Credo che “nella storia di ogni persona c'è una diga. Da una parte, l'acqua che cresce e scalcia ed è energia. Oltre lo sbarramento, la terraferma. Tu di me sai la terraferma. E allora ti racconto l'acqua che non hai mai visto.”

lunedì 11 marzo 2013

Just somebody that I used to know.


L'abbiamo scritta tutti, la lettera del giorno dopo. Abbiamo scritto anche quella del mese dopo, rancorosa quanto basta, ancora non così decisa come avremmo voluto.
Poi il dolore passa, il rancore si trasforma in rabbia che ti spinge altrove.
C'è un preciso momento in cui ci rendiamo conto di essere finalmente da un'altra parte, lontani dai ricordi che ci hanno tartassati. Via. Ecco, quello è il momento in cui dovremmo scrivere quella lettera, l'ultima. Ma lo sappiamo tutti, è la lettera che non scriveremo mai, perchè non ce n'è motivo, non più. Ci siamo liberati di loro, dei motivi che ci tenevano appesi.
Li incontriamo di nuovo dopo anni, per caso, nei posti più impensabili, nei momenti più disparati. Li guardiamo e non ci sono più. O forse non ci siamo più noi, abbiamo cambiato occhi e cuore. La pelle non sente più come prima. C'è aria nuova nei nostri polmoni. E, a guardarci bene, siamo più belli e più brillanti di quando ci hanno lasciati. C'è aria di riscatto, c'è l'espressione di chi dice "ah, adesso guardi, eh?!". Ed è in questo stato di grazia, forti di quello che abbiamo passato, delle lacrime che abbiamo asciugato, della rinascita, che finalmente diciamo, magari anche ad alta voce, quello che avremmo voluto scrivere già nella lettera del giorno dopo, pur non avendone la forza: "Fanculo".