lunedì 2 dicembre 2013

Le cose che smetti di fare.


Ci sono cose che inevitabilmente, per un motivo o per un altro, smetti di fare. Cominci a farci caso. Parole e gesti che prima erano automatici e che vorrebbero continuare ad esserlo. Ma smetti di farli.
Smetti di bere il cappuccino in quel bar, probabilmente cambierai zona.
Smetti di sentire quella canzone. La riascolterai tra qualche anno.
Smetti di fare la stessa strada che fai da una vita. Ti perderai sicuramente al primo bivio.
Smetti di girarti se senti un fischio.
E non parliamo nemmeno delle parole che impari a non dire. Anche per “correttezza politica”.
Impari a non dire alla tua amica che deve darsi una svegliata.
Impari a non dire a chi di dovere che c’è un solo posto dove ti sentiresti di mandarli.
Impari a non nominare.
Impari a pesare, valutare, scartare. Impari a tenere la bocca cucita.

Che poi, io mica l’ho mai capita la convenienza di queste cose.

E allora ti do un consiglio.
Cambia zona, assaggia nuovi cappuccini. Ma poi torna in quel bar.
Ricomincia a sentire quel cd. E quella canzone. E ti ricorderai perché un giorno hai deciso addirittura di tatuartela addosso.
Riprendi a fare le strade di sempre. Voglio dire, lo sappiamo tutti. Il mondo è un buco, quando ci si mette. E allora mi sa che non serve a niente perdersi per evitare.
Girati se senti un fischio. O magari no, lo so anche io che un fischio è una cosa un po’ cafona. Però magari tu girati comunque.
Dì alla tua amica che deve darsi una svegliata, fai la parte del poliziotto cattivo. Ti ringrazierà, prima o poi.
Manda chi di dovere esattamente dove deve stare, se quello è il posto che merita.
Nomina chi vuoi, quando vuoi. Il passato esiste, sarebbe da scemi fare finta che non sia così. Ti ha permesso di essere la persona che gli altri apprezzano. O non apprezzano, ovvio, ma quello poi è un problema tuo.
Ogni tanto permettiti di non pesare, non valutare, non scartare. Tanto ti si legge in faccia.
Permettiti di essere la persona che, con educazione, è trasparente.


“C'erano cose che volevo dirgli. Ma sapevo che gli avrebbero fatto male. Così le seppellii e lasciai che facessero male a me.”



venerdì 13 settembre 2013

Ti direi le cose che devi sapere.

Ti direi che sono una che va a ondate. Ti direi che ogni tanto scrivo, ogni tanto no. Ti direi che ho decine di bozze salvate e decine di motivi per non sentirle pronte. 
Ti direi che doveva essere un'estate di studio. Ma la famosa voglia di studiare che era uscita a prendere un gelato mi ha mandato una cartolina. Era in vacanza. E non è tornata fino a fine agosto. 
Ti direi che vorrei tornare a giugno. Ma forse non sarebbe neanche vero. Ti direi che tanto alla fine rifarei sempre le stesse identiche cose. Di corsa. Il caldo no, quello lo lascerei. 
Ti direi che mancano due mesi e la mia tesi purtroppo ha deciso che non può farsi da sola. 
Ti direi che ho comprato un maglione blu, sperando che l'estate finisse presto. Ma che poi sotto ci ho messo i pantaloni corti. 
Ti direi che, quando serve, riesco ad essere una di poche parole.
Ti direi che a volte conviene lanciarsi, buttarsi, cadere, scappare, tornare. Qualunque cosa. Ma mai stare scomodi. Ti direi che fino ad oggi ho vissuto col cuore in gola. E non sono mai stata scomoda.
Ti direi che i messaggi letti la mattina presto mi cambiano l'umore. Ti direi che il caffè appena sveglia mi cambia l'umore. Che ci voglio il latte freddo e lo zucchero di canna. E che il sabato mattina mi piace fare colazione fuori casa, con gli occhiali da sole. 

Ti direi che "le persone quiete sono le persone che conservano gli album di fotografie, quelli cui piace il bianco perché dicono che il bianco è semplice e non stufa. A noi piacciono le persone inquiete". 

Ti direi. Ti dirò. 

mercoledì 19 giugno 2013

Come quando fuori piove. O forse no.

Come quando non scrivi da un po' perché avevi tante idee, troppo confuse e metterle nero su bianco era molto più complicato che lasciarle girare in testa. 
Come quando arriva il caldo sul serio e la concentrazione è uscita a prendersi un gelato qualche giorno fa. E non è più tornata. 
Come quando fuori non piove più ma in testa hai un tornado. Forza 9, credo. 
Come quando un gennaio di qualche anno fa ho incontrato un sorriso pulito. Come quando quel sorriso è ancora al mio fianco. E di sorrisi così, che sanno di buono, non ne ho trovati poi tanti negli anni.
Come quando quel tornado lo condividi con qualcuno e allora ti senti semplicemente meno stanca. Molto, molto meno. 
Come quando sacrifichi un'estate al Dio dello studio, sapendo che ne varrà la pena. 
Come quando ci sono il mare, la spiaggia, un cocktail e qualche amico. 
Come quando sono fragole e ciliegie. 
Come quando le cinque di mattina ti sembrano sempre di più un orario decente per tornare a casa, con le scarpe in mano.
Come quando basta una piccola deviazione dal percorso tracciato per sentirsi vivi. 


Come quando "prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall'alto, non avere macigni sul cuore". 


sabato 4 maggio 2013

I giovani devono andare, partire. Ma per curiosità.


“Signorina, se posso darle un consiglio, io partirei. Non si faccia fermare da genitori, ragazzi, amici. Saranno qua anche dopo. Lei vada.”
L’ho guardata un po’ in cagnesco quella cliente, con l’espressione di chi pensa di non aver chiesto proprio nessun consiglio. 
L’ho guardata in cagnesco perché aveva ragione.
E io sono sempre stata una da ali sotto i piedi e valigia pronta, eh. Mille programmi, mille progetti, la testa sempre da un'altra parte. Ma ad un certo punto scattava il "resto-non vado", prima per un motivo, poi per un altro. 
Forse non era il mio momento, forse sul piatto della bilancia ha sempre pesato di più qualcos'altro.
Però quella signora aveva colto nel segno. 
Avevo voglia di andare, di nuovo. La certezza che in pochi mesi sarebbe finito il cazzeggio e cominciato il divertimento vero. 
Il sito di uno studio americano. Un curriculum da aggiornare. Un portfolio da fare. 
La curiosità di capire che succede dall'altra parte. 
Andare, vivere. E poi tornare.

E quel consiglio, che dopotutto non mi sembrava più così sbagliato.

mercoledì 24 aprile 2013

Cinque per cinque.

Al tempo passato, che me ne rendo conto solo se ci penso veramente. Alle conquiste e alle sconfitte, sempre squilibrate, ma che proprio per questo hanno lasciato qualcosa.
Alle persone che ho visto andare via e a quelle che sono rimaste. A quelle incontrate e a quelle che dimenticherei volentieri.
Al cuore spezzato e più volte ricucito. All'amore che ho provato.
Al primo giorno di liceo e all'ultimo. Al giorno in cui ho deciso cosa avrei voluto fare da grande e al giorno in cui mi sono chiesta se fosse veramente l'obiettivo giusto.
Alla mia città, che è un quarto di secolo che festeggiamo insieme.
Ai viaggi, agli aerei.
Alle fughe e alle volte in cui invece sono rimasta.
Ai drink sulla spiaggia, a quelli in città quando sei troppo stanco per continuare a lavorare ma troppo vivo per tornare a casa.
Ai pranzi della domenica.
Agli amici, alle risate che ti tolgono il fiato.

Al "grande dono che ci è concesso, invecchiando, quello di non perdere le altre età che abbiamo vissuto."

E un pò a me.

sabato 13 aprile 2013

Metto un muro.

Capita a tutti. In un momento qualunque. A me capita oggi. Metto un muro.
Metto un muro tra me e le cose che non voglio fare e quelle che non riesco a dire. Metto un muro tra me e le persone che non riesco a sopportare. 
Metto un muro tra me e l'ansia, tra me e la rabbia. Metto un muro tra me e chi mi impedisce di seguire il mio vento. 
Metto un muro tra me e te. Tra quello che vorrei io e quello che tu non sai se puoi e vuoi darmi.

Apro solo una porta. Quella tra me e me.

giovedì 21 marzo 2013

Primavera. Tutto il resto è noia.


Quando ti svegli e non piove più. Quando prendi il caffè al sole, con gli occhiali scuri e la giacca leggera.
Quando sei in fila e apri il finestrino. Quando inizi a scoprire le gambe.
Quando progetti un nuovo tatuaggio perché la stagione è quella giusta.
Quando decidi che quel paio di scarpe lo comprerai. Anche solo per te.
Quando è il 21 marzo e una delle tue migliori amiche si laurea. Quando esci di corsa con i tacchi nella borsa e un mazzo di fiori in mano.
Quando hai cuore e testa altrove e ti sforzi comunque di tenerli qui, adesso, che il coraggio di perderti non ce l’hai.

Quando è primavera. E ricominci a respirare.

domenica 17 marzo 2013

E fatelo il primo passo, che il testosterone non si intacca. Anzi.


Ho sempre pensato che non ci fosse differenza in amore tra chi dovesse fare il primo passo e chi no. Una donna che sa quello che vuole può tranquillamente non dover chiedere il permesso a nessuno.

Sì, certo. A-ha.

Il problema è che hanno cominciato a pensarlo pure queste schiere di geni del crimine con cui ci relazioniamo, questi simpatici “ah, no, ce sta che la prima cena facciamo a mezzi, metti che poi non me dà manco un bacio”. E come no. Aspetta, galantuomo delle mie Louboutin. Già che ci sei fatti pure offrire il caffè e l’ammazzacaffè, tante volte non ci scappasse manco il sorriso a fine serata.
Perché diciamocelo, di tutti questi cavalieri sbiaditi, che non prendono una posizione manco a pagarli oro, che non decidono, che aspettano una mossa, ne abbiamo un po’ le palle piene.
Passiamo ore a guardare film allucinanti dove lei non muove nemmeno mezzo passo e si becca il meglio figo del quartiere, poi scendiamo al primo squillo di cellulare – perché ovviamente non sia mai che si riesca a scollare l’ominide dal sedile della macchina per farlo citofonare – e ci troviamo anche nella condizione di dover finire la serata nella classica posa che ognuna di noi ha assunto in macchina almeno una volta: gomito appoggiato sul sedile di Lui, corpo “vagamente” proteso, bocca-a-culo-di-gallina quanto basta e sguardo intenso. Roba che più sputtanata di così non potrebbe essere.
E Lui – sì, Lui, con L maiuscola – pronuncia le parole che farebbero morire anche l’ormone della Lei più implacabile: “Quanto mi piace stare qui a parlare con te, ci passerei le ore”.
E tu stai lì e pensi: “Ma questo non ce l’ha una madre? Nessuno gli ha spiegato che alla Lei che rischia il fianco sul bracciolo non si propone mai di parlare per ore e ore? Che altro mai mi dovrai dire stasera, eh?”.

E fatelo ‘sto primo passo. Che non diventate impotenti. 

sabato 16 marzo 2013

Credo.


Credo nel sabato mattina, quando non lavoro e c’è il sole. Credo negli occhiali scuri la domenica mattina, quando esci a fare colazione e ti porti dietro la notte prima.
Credo nel caffellatte e nei biscotti al cioccolato.
Credo nella musica sparata nelle orecchie, quando non riesci a trovare le parole. E allora le trova lei per te.
Credo nelle serate con gli amici, quelli di sempre, quando ti senti a casa. Credo nei momenti con persone che conosciamo da poco, ti danno sempre la sensazione di poterti reinventare e non ti costringono a giustificazioni.
Credo nel 21 marzo, nel profumo che c’è nell’aria nelle mattine di giugno e nel colore del tramonto a settembre.
Credo nella bellezza dell’alba a Roma e nel suo cielo blu, che di viaggi ne ho fatti veramente tanti ma così blu io non l’ho mai trovato.
Credo negli aeroporti, nella valigia che preparo e che mi sembra sempre troppo piena. Credo negli arrivi, negli abbracci caldi di chi ti aspetta. Credo nei viaggi che fai per scappare e credo nella consapevolezza che hai quando non ti dimentichi mai da dove vieni.
Credo nella camomilla sotto al piumone e nella birra chiara media a Ponte Milvio.
Credo nei baci all’improvviso, nei colpi di fulmine, negli sguardi a cui non sai dare un significato.

Credo che “nella storia di ogni persona c'è una diga. Da una parte, l'acqua che cresce e scalcia ed è energia. Oltre lo sbarramento, la terraferma. Tu di me sai la terraferma. E allora ti racconto l'acqua che non hai mai visto.”

lunedì 11 marzo 2013

Just somebody that I used to know.


L'abbiamo scritta tutti, la lettera del giorno dopo. Abbiamo scritto anche quella del mese dopo, rancorosa quanto basta, ancora non così decisa come avremmo voluto.
Poi il dolore passa, il rancore si trasforma in rabbia che ti spinge altrove.
C'è un preciso momento in cui ci rendiamo conto di essere finalmente da un'altra parte, lontani dai ricordi che ci hanno tartassati. Via. Ecco, quello è il momento in cui dovremmo scrivere quella lettera, l'ultima. Ma lo sappiamo tutti, è la lettera che non scriveremo mai, perchè non ce n'è motivo, non più. Ci siamo liberati di loro, dei motivi che ci tenevano appesi.
Li incontriamo di nuovo dopo anni, per caso, nei posti più impensabili, nei momenti più disparati. Li guardiamo e non ci sono più. O forse non ci siamo più noi, abbiamo cambiato occhi e cuore. La pelle non sente più come prima. C'è aria nuova nei nostri polmoni. E, a guardarci bene, siamo più belli e più brillanti di quando ci hanno lasciati. C'è aria di riscatto, c'è l'espressione di chi dice "ah, adesso guardi, eh?!". Ed è in questo stato di grazia, forti di quello che abbiamo passato, delle lacrime che abbiamo asciugato, della rinascita, che finalmente diciamo, magari anche ad alta voce, quello che avremmo voluto scrivere già nella lettera del giorno dopo, pur non avendone la forza: "Fanculo".